verde urbano

Nel 1950 solo il 30% dell’umanità viveva in agglomerati urbani, per crescere poi al 54% nel 2014. Le stime prevedono che si arrivi al 70% nel 2050. Nel 2030 la superficie terrestre occupata da città potrebbe triplicare rispetto al 2000, superando di molto il milione di km². Sarà popolata dai bambini di oggi, che dovranno affrontare problemi di cui noi adulti forse solo ora iniziamo a percepire l’abrasività. Come si relazioneranno con la natura persone che nascono, crescono e vivono in aree ad alta urbanizzazione? E come potremmo intervenire ora per mitigare gli effetti metropolitani del cambiamento climatico, dell’impatto ambientale, per aumentare la vivibilità delle città future? Una risposta è creando ambienti con più mescolanza e promiscuità tra uomini e piante, ma anche imparando a dare un significato a lungo termine a due parole come infrastruttura e investimento.

Il primo termine indica in genere l’insieme di servizi pubblici necessari allo sviluppo di una città o di un sistema (strade, reti idriche, fognarie, telefoniche ed elettriche). Nelle città, il contributo delle aree verdi non sempre è percepito nella cornice di una infrastruttura e resta spesso confinato al lato estetico, di abbellimento del tessuto urbanistico o al massimo in quello connesso allo svago e alla ricreazione. Questo confinamento si ripercuote sulla percezione dell’investimento per la sua gestione: se il ritorno del verde è frivolo ed effimero, anche la spesa deve essere marginale, non legata a pianificazioni e strategie di lungo termine.

Questo percorso di visita ha uno scopo chiaro in merito: disporre della natura nelle città, realizzare e gestire foreste urbane non è solo un piacere ma un aspetto fondamentale per creare una comunità sana. Se vogliamo intervenire oggi su molti temi critici che le città del futuro dovranno affrontare, le piante devono tornare a essere a pieno titolo nostre concittadine.

Le piante non portano solo benefici, ovviamente. Possono influenzare alcuni problemi di salute specifici, come le allergie. Possono facilitare la proliferazione di animali a noi sgraditi, come le zanzare. Impattano senza dubbio sui bilanci delle città e sulle finanze dei privati cittadini che possiedono un giardino. Molto spesso però queste uscite sono percepite come costi anziché come investimenti, anche perché i ritorni assicurati dal verde urbano raramente si misurano in più soldi a disposizione del singolo, ma pesano invece su miglioramenti simili a quelli assicurati proprio dalle infrastrutture: minore spesa collettiva, benefici diffusi, miglioramento delle condizioni di vita. Questo è quello che accade quando le piante riducono le temperature estive nelle città, quando mitigano i danni causati da inondazioni e piogge forti, quando facilitano il nostro contatto con la biodiversità, quando ci aiutano ad abbattere in parte gli inquinanti che diffondiamo nell’aria, quando aumentano il valore immobiliare di interi quartieri, quando abbattono i costi sanitari riducendo l’incidenza di patologie fisiche e mentali. In nessuno di questi ambiti il loro contributo è risolutivo, ma in tutti diventa tangibile se la loro gestione tiene in conto esigenze e peculiarità dei vegetali.

Sebbene estremamente affascinanti, queste operazioni non sono sempre semplici né automatiche. Una delle complicazioni deriva ad esempio dalla differente aspettativa di vita tra alberi urbani e non, anche della medesima specie. I primi infatti tendono a crescere più rapidamente crazie al maggior calore delle città e grazie alla collocazione in genere isolata. Al tempo stesso però muoiono prima dei loro omologhi cresciuti in bosco. Il motivo è legato a condizioni ambientali più stressanti ma anche ad errori nella manutenzione e nella gestione delle foreste urbane, troppo centrare sul ribasso e su pratiche non consone alle esigenze delle piante. Spesso, questa differenza nella durata si ripercuote sugli effettive benefici e sul rapporto tra costi e benefici di lungo termine.

Molti sono anche i numeri che aiutano a dare la giusta dimensione a questi aspetti. Alcuni aiutano a capire che quello delle piante è un aiuto, un contributo e non un intervento salvifico capace di compensare le nostre cattive azioni. Altri invece permettono di quantificare, anche solo indicativamente, l’equilibrio tra spese di gestione e quei ritorni economici talvolta non così tangibili.

Investire circa 100 milioni di euro all’anno, manutenzione inclusa, su scala globale nella piantumazione di nuovi alberi nelle città più densamente popolate e nelle zone più inquinate permetterebbe di assicurare una migliore qualità dell’aria a circa 50 milioni di persone in più e temperature urbane più miti a quasi 80 milioni, con una riduzione dei decessi correlati compresa tra 11.000 e 36.000. Il calcolo del valore pecuniario degli alberi di citta, pubblici e privati, nella citta texana di Austin, porta a stimare che ogni anno l’alberatura urbana permette di risparmiare 19 milioni di dollari in energia non consumata, 17 in costi connessi all’anidride carbonica assorbita o non emessa e 3 in mancate malattie dei cittadini, a cui si aggiungono circa 15 milioni legati all’aumento del valore delle proprietà. Analoghe valutazioni sono disponibili per metropoli più complesse come New York, in cui l’impatto economico delle alberature e stimato in 120 milioni di dollari l’anno, a fronte di costi di gestione pari a 22 milioni.

Valutazioni condotte su cinque distinte città stimano che per ogni dollaro investito in infrastrutture verdi, il ritorno sia stato compreso tra 1,5 e 3 dollari e in tutte e cinque le città i benefici hanno superato i costi. Molti studi dimostrano poi che gli alberi e altri paesaggi vegetativi possono aumentare i valori delle proprietà. Ad esempio, i centri commerciali con paesaggio possono essere più prosperi di quelli senza, mentre studi hanno rilevato aumenti generali di circa il 3-10% nei valori degli immobili residenziali associati alla presenza di alberi e vegetazione su una proprietà.

Una delle risorse migliori sulle infrastrutture verdi è data dal materiale teorico, tecnico e pratico legato al Progetto REBUS della Regione Emilia-Romagna

Molte delle strategie, delle pratiche di creazione e gestione del verde urbano e dei risultati che si possono ottenere per migliorare il nostro rapporto con aria, acqua, terra e fuoco tramite il verde urbano sono peraltro già disponibili e molto ben studiate, anche in termini applicati. Un esempio vicino a noi è quello esaustivo del Progetto REBUS patrocinato dalla Regione Emilia-Romagna. Resta solo mettere in pratica conoscenze e protocolli nelle nostre città, lavorando non solo con le istituzioni ma anche con la cittadinanza, perché purtroppo è proprio quest’ultima ad essere spesso recalcitrante verso maggiori spese di gestione e riluttante ad abbandonare abitudini ambientalmente controproducenti, come quelle legate all’uso dell’auto. Talvolta persino timorosa che più aree verdi si traducano automaticamente in maggiori problemi di ordine pubblico o di decoro. Altri ancora, dati alla mano, sono refrattari alla riqualificazione verde per motivi opposti, come quello della gentrificazione e dell’aumento del valore immobiliare dei quartieri più verdi, che può renderli economicamente insostenibili per chi ci ha sempre vissuto: quando il valore al metro quadro delle case cresce del 10-15% grazie alle piante, temi economici e sociali si intrecciano con quelli ambientali.

Il nostro percorso sul verde urbano è nato anche per discutere di questi temi e per far emergere un approccio preciso. Quello delle piante in città è un effetto sistemico, olistico, che deve far ragionare sul concetto di ecosistema urbano inclusivo tra natura e uomini evitando soluzioni troppo semplici: piantare alberi non basta, servono un piano di gestione e una progettazione a lungo termine.