Aria

Il legame tra verde urbano e qualità dell’aria è uno dei più complessi, in quanto gli effetti dipendono da molte variabili. Condizioni locali, ecologiche, ambientali, tipo di inquinanti e piante, ventilazione, clima, densità, disposizione di edifici e alberi si intrecciano al punto da rendere uno stesso intervento efficace in un luogo e inefficace in un altro. Un rischio è quindi quello di non ottenere il beneficio massimo o di ritenere la semplice aggiunta di alberi sufficiente a compensare le parti meno nobili del nostro stile di vita. Quel che chiamiamo inquinamento è poi una galassia di sostanze come particolato, ozono, ossidi di azoto, agenti indiretti inclusi i gas serra come l’anidride carbonica, che rende ulteriormente fluttuante il rapporto tra costi e benefici. Una conseguenza è che a parte alcune linee generali, qualsiasi intervento richiede una precisa valutazione in base al contesto.

Come fanno le piante a “pulire” l’aria?

Le piante possono ridurre vari tipi di inquinanti e lo fanno in più modi. Uno prevede la deposizione fisica del particolato e di alcuni gas sulla superficie delle foglie, dove le polveri sottili restano intrappolate sullo strato ceroso o tra piccoli peli chiamati tricomi. Una seconda via, che riguarda soprattutto gli inquinanti gassosi, prevede l’effettivo ingresso all’interno delle foglie e la degradazione mentre un’ultima, spesso trascurata, riguarda la “distruzione” degli inquinanti per opera dei microorganismi associati alle piante sulle foglie e soprattutto nel suolo.

L’esistenza di queste tre vie suggerisce alcune conseguenze. Ad esempio, non tutte le piante sono ugualmente efficaci nell’assorbire PM10 e PM2.5, per via della diversa densità dei loro tricomi, dello spessore dello strato ceroso o in base alla superficie della chioma. Ad esempio, esiste una differenza di 10-20 volte tra diverse specie di alberi nella capacità di imprigionare le polveri sottili e possiamo misurare le differenze tra alberi longevi e appena messi a dimora: quelli con fusti di diametro superiore a 75 cm rimuovono annualmente circa 70 volte più inquinamento atmosferico rispetto a quelli con diametro inferiore a 8 cm. Al tempo stesso la deposizione meccanica sulle foglie, pur agendo da spugna assorbente, non è una via senza ritorno: quando le foglie cadono a terra e si decompongono, una parte dei materiali intrappolati può tornare in sospensione in aria. Un altro aspetto che emerge è quello del ciclo vitale: un albero sempreverde potrà assicurare i suoi servizi per più mesi.

Cosa ci dobbiamo aspettare?

Gli effetti del verde sulla qualità dell’aria offrono numeri legati da un filo rosso: variano molto da luogo a luogo e sono piccoli, soprattutto se vengono osservati distrattamente. Per aiutare a capire possono fare comodo alcuni esempi da luoghi e contesti diversi, con qualche domanda.

Strasburgo in Francia ha una superficie di verde urbano confrontabile con quella di Parma (400 ettari contro circa 500). Là gli alberi assorbono ogni anno circa 80 tonnellate di inquinanti, tra i quali circa il 7% delle polveri sottili emesse nell’atmosfera cittadina. Si tratta di un buon risultato? Si tratta di un contributo e non deve escludere la riduzione drastica di tutte le emissioni per causa umana: mezzi di trasporto, sorgenti fossili di energia, ecc.

Nel 2010 gli alberi e le foreste negli Stati Uniti hanno rimosso complessivamente 17 milioni di tonnellate di inquinanti, con effetti sulla salute stimati per 6,8 miliardi di dollari. Eppure, questa rimozione equivale a un miglioramento medio della qualità dell’aria inferiore all’1%. A New York ad esempio il miglioramento è in media dello 0,47% per il particolato, dello 0,45% per l’ozono, dello 0,43% per l’anidride solforosa, dello 0,30% per il biossido di azoto e dello 0,002% per monossido di carbonio. La qualità dell’aria migliora però con l’aumento della copertura e nei boschetti presenti nei grandi parchi i miglioramenti corrispondono al 15% per l’ozono, al 14% per l’anidride solforosa, al 13% per il particolato, all’ 8% per il biossido di azoto e allo 0,05% per il monossido di carbonio. Che conseguenze ha questo sull’urbanistica futura? Ci dice che dobbiamo lavorare sia sulla creazione di parchi e di verde diffuso che sulla riduzione delle emissioni all’origine.

Si stima che l’aumento della copertura totale degli alberi dal 4% al 16% in alcune aree dell’Inghilterra possa ridurre le polveri sottili del 10%: da 2,3 a 2,1 μg per metro cubo pari a 110 tonnellate all’anno; si stima che l’aumento della copertura degli alberi dal 3,6% all’8% a Glasgow, possa ridurre le concentrazioni di PM10 del 2%. Si tratta di sforzi che valgono la pena? Si, anche perché sono tra gli sforzi più redditizi dopo l’eliminazione delle fonti di polveri sottili, che vanno combattute all’origine.

Gli alberi di strada di Lisbona sono oltre 40.000 e forniscono servizi del valore circa 8 milioni di euro all’anno, a fronte di una spesa pari a circa 2 milioni di euro in manutenzione. Per ogni euro investito nella gestione degli alberi, i residenti ne ricevono 4 in benefici così suddivisi: risparmio energetico (6 per albero), riduzione di CO2 (0,3 per albero) e abbattimento di inquinanti atmosferici (5 per albero) minor danno da alluvioni (45 per albero) e all’aumento, aumento del valore immobiliare (140 per albero). Sono cifre trascurabili? No, sono ritorni economici importanti su grande scala. Purtroppo sono ritorni collettivi, che spesso trascuriamo dando priorità a quelli individuali, che ci “ritroviamo in tasca” più volentieri.

Collettivamente, secondo il servizio forestale degli Stati Uniti, gli alberi compensano dal 10 al 20% delle emissioni da combustibili fossili ogni anno. Se ci si sposta nelle zone urbanizzate però la rimozione globale di inquinanti diventa circa il 2%, con picchi del 5% nelle aree cittadine più densamente verdi. Ci basta a stare meglio? Avere più superfici boscate aumenta la compensazione, ma non è in grado di annullarla con gli attuali livelli di emissioni.

Perché dobbiamo comunque piantare più alberi?

Per chi si ferma alla quantità grossolana, alcuni di questi numeri possono sembrare insignificanti: perché investire negli alberi se il beneficio attuale non supera il 2%? In tutto il mondo, l’inquinamento è stato collegato a oltre 9 milioni di morti premature, quasi la metà per esposizione alle sole polveri sottili. Eppure, per l’intera popolazione inglese, il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari di chi vive nelle aree meno verdi è il doppio di quello delle aree più verdi. Allo stesso modo, è stato riscontrato che le probabilità di ospedalizzazione sono inferiori del 37% in coloro che vivevano vicino a spazi verdi. Un’associazione simile tra mortalità e vegetazione ha dimostrato che nelle aree con i più alti livelli di verde le donne hanno tassi di mortalità inferiori del 12%. Allo stesso modo, uno studio decennale su 1,2 milioni di abitanti di Roma ha scoperto che vivere in aree più verdi è associato a livelli significativamente ridotti di mortalità cardiovascolare. Uno studio simile in Canada ha riscontrato che una maggiore presenza di piante entro 250 m dalla residenza è fortemente associato a una ridotta mortalità cardiovascolare.

L’aspettativa giusta da riporre nel verde urbano è che se lo mettiamo nelle condizioni ottimali ci può fornire un contributo estremamente utile e che sarebbe sciocco non accettare e massimizzare, ma che da solo non risolve i nostri attuali problemi di inquinamento atmosferico.

Chi funziona meglio e come?

L’Istituto di Biometeorologia del CNR di Bologna ha realizzato delle schede semplici che riassumono pregi e limiti delle principali alberature urbane. Ne risulta che Bagolaro, Olmo, Frassino, Tiglio. Ontano, Acero, Cerro, Betulla, Ginkgo e Tiglio, assieme alle conifere, offrono le potenzialità migliori nella mitigazione degli inquinanti.

La forma stessa delle chiome, la maggiore o minore permeabilità al vento sono fondamentali nel determinare l’efficacia della deposizione di polveri sottili e lo stesso vale per la disposizione delle piante, al punto che “piantare alberi” può avere effetti addirittura opposti sulla qualità dell’aria. Un esempio in questo senso è quello del cosiddetto effetto canyon che si verifica ne viali in cui le chiome formano una volta che limita il flusso dell’aria e anziché abbattere gli inquinanti possono portare a concentrarne la presenza.

Quali scelte sono più opportune?

Migliorare la qualità dell’aria con il verde urbano significa trovare l’equilibrio adatto tra una serie di compromessi, tagliandolo su misura per il luogo in qui si vuole operare. Questo rende le cose difficili, ma ci sono alcune linee guida che aiutano.

  • Optare per chiome con foglie dense e longeve, ad esempio le sempreverdi possono rimuovere più inquinanti e più a lungo nel tempo, sebbene molte conifere siano sensibili agli inquinanti comuni.
  • Puntare su specie che emettano pochi composti organici volatili e con pollini poco allergenici
  • Per le polveri sottili, privilegiare foglie con superfici pelose, resinose e ruvide, perché catturano più particelle rispetto alle foglie lisce. Le foglie più piccole e numerose sono generalmente più efficienti delle foglie più grandi ma rade.
  • Mescolare alberi, siepi e prati, senza pensare che ad agire sia la sola chioma arborea.
  • Valutare la capacità di resistere a condizioni specifiche (gli ambienti urbani hanno spesso suoli compatti e siccitosi).
  • Ricordare che gli alberi in città vivono meno dei loro omologhi selvatici. L’aspettativa di vita media stimata per le alberature urbane varia da 20 a 30 anni, rispetto ai 60 delle zone tra periferie e campagna e agli oltre 100 per i siti rurali.
  • I benefici decadono rapidamente oltre i 200 m e creando forti differenze all’interno di una città a meno che le zone verdi e alberate non siano diffuse in modo capillare, a formare un’infrastruttura a mosaico.

Quali sono le conclusioni?

Il tema della mitigazione e dell’assorbimento garantito dalle piante va sempre, comunque e obbligatoriamente, collegato a quello delle emissioni e in tutti gli studi si è visto come l’abbattimento delle emissioni dia un contributo maggiore.

Il verde (urbano e non), pur aiutando a ridurre gli effetti non sarà mai in grado di compensare totalmente le nostre attuali emissioni e deve quindi essere considerato come un giocatore imprescindibile, ma all’interno di una gioco di squadra. Gas e polveri che inquinano l’aria delle nostre città e che alterano il nostro clima sono emesse dagli impianti di riscaldamento/raffrescamento degli edifici, dai motori a combustione, dall’agricoltura e dall’allevamento, dalla produzione industriale ed energetica: per ottenere effetti significativi sulla qualità dell’aria che respiriamo, oltre a piantare alberi, dobbiamo obbligatoriamente ridurre queste emissioni, lavorando sul nostro stile di vita e sulle tecnologie.