Serendipità e farmaci naturali
Il caso e la necessità: a definire l’importanza di un nuovo farmaco non è il modo in cui è nato o l’origine, ma la valutazione precisa della sua efficacia e della sua sicurezza, assieme alla certezza di poterne somministrare abbastanza per curare chiunque ne abbia bisogno.
Quante strade per un farmaco?
La scoperta di nuovi farmaci può avvenire infatti seguendo diverse strade: approfondire la presenza di principi attivi in piante già usate a livello etnofarmacologico migliorandone l’efficacia; applicando i sistemi tecnologici della chimica combinatoriale con i suoi ormai potentissimi sistemi di calcolo; cercando e studiando con sistemi via via più complessi molecole di nuova sintesi o isolate da fonti naturali; progettando da zero una molecola assente in natura in funzione del suo preciso bersaglio.
Conta anche la fortuna?
Un sistema non pianificabile ma che in passato è stato foriero di risultati importanti è quello della cosiddetta serendipità. Questo vocabolo indica l’eventualità in cui si scopre in modo fortuito qualcosa di non cercato e imprevisto mentre si sta cercando un altro di completamente diverso. Il vocabolo stesso ha una storia curiosa: deriva da Serendip, l’antico nome persiano dello Sri Lanka e fu coniato da uno scrittore inglese nel 1700 raccontando una scoperta inattesa e collegandola a una fiaba persiana chiamata “Tre prìncipi di Serendippo”. I protagonisti del racconto, con sagacia e intuizione partono da indizi insoliti per cavarsela nelle situazioni più dsparate e pericolose. La storia della scoperta dell’azione antitumorale degli alcaloidi di Catharanthus roseus rientra a pieno diritto nelle scoperte “serendipiche” e somiglia a sua volta a una specie di fiaba.
Negli anni ’50 un gruppo di ricerca canadese era stato contattato da un medico dei Caraibi, che sosteneva di aver curato con successo alcuni difficili casi di diabete grazie a un infuso di foglie di Catharanthus roseus (che allora era ancora denominato Vinca rosea). In alcune zone del mondo, del resto, esistevano indicazioni popolari di questo impiego e pertanto vennero raccolte grosse quantità di pianta per avviare uno studio. I ricercatori canadesi si misero a studiare l’estratto, ma non riscontrarono alcun effetto nella secrezione di insulina e nella glicemia. Aumentando le dosi, tuttavia, comparvero alcuni effetti collaterali compatibili con un calo dell’attività del midollo osseo. Questo effetto inatteso e anzi tossico portò a pensare che qualche componente dell’estratto potesse agire in un campo completamente diverso: quello dei tumori di tipo leucemico che colpiscono il midollo osseo. Vennero così isolati alcuni dei principali alcaloidi di Catharanthus (vincamina, vincristina, vinblastina) e si scoprì che erano estremamente efficaci nel trattare alcune forme di leucemia e di linfoma, riducendo sensibilmente la dimensione delle masse tumorali. A oltre sessant’anni da quella scoperta casuale e imprevista queste molecole sono tutt’ora diffusamente impiegate, con successo.
Non a caso, e con una certa dose di ironia, lo studio con cui vennero presentati i risultati dai ricercatori canadesi era intitolato: “Il ruolo delle osservazioni fortuite in chemioterapia: il caso di Vinca rosea” e centrava la sua discussione sull’importanza di non limitarsi, esclusivamente alla ricerca su piante tradizionalmente usate per tale scopo. Anche il successo farmaceutico è stato frutto del caso: i risultati della ricerca furono notati dai rappresentanti di una casa farmaceutica a una comunicazione orale a un congresso, presenti nonostante questa si tenesse ben oltre l’ora di cena. Incuriositi dai risultati chiesero una serie di approfondimenti clinici e acquisirono i diritti alla produzione e vendita degli alcaloidi isolati dal Catharanthus.
Ce ne sarà abbastanza per tutti?
Il cammino di un farmaco non si ferma però con la sua scoperta: ne serve una quantità sufficiente a curare tutti. Catharanthus roseus è fortunatamente una pianta facile da coltivare (cresce anche vicino all’ingresso dell’Orto Botanico) e sebbene produca quantità infinitesimali di questi alcaloidi, viene coltivata su grande scala per estrarre i principi attivi, che dopo attenta purificazione e dosaggio possono entrare nelle farmacie ospedaliere. Questa fortuna non capita però sempre: in molti casi le piante non producono composti utili a sufficienza ed è quindi necessario far ricorso a sistemi artificiali, come la sintesi industriale degli stesse identiche sostanze naturali.